Comunità per minori. Giappone anni 70 e Italia anni 2020

Caro Taiyo Matsumoto,

vivi dall’altra parte del mondo, sei di una generazione prima della mia, non so nulla di te tranne che hai scritto una storia a fumetti che mi ha preso l’anima. Sento che vive in me come mai mi era successo. Quando adesso prendo un libro mi manca di leggerlo da destra a sinistra come facevo col tuo Sunny.

Sunny è la storia di una comunità per bambini abbandonati in Giappone negli anni ‘70. Protagonisti sono ragazzi di dieci-undici anni ma dentro questa storia anche i personaggi meno centrali brillano di intensa luce. Li ricordi ancora col cuore palpitante di un bambino, con la pelle sensibile come quella dopo che si gratta troppo presto una crosta.

Leggere questa tua storia, e scriverne qui, mi commuove e mi pulisce dentro.

Come fai a farci entrare nel mondo di ciascuno di loro? Maschi e femmine. Tu eri solo uno di loro. Chi eri? Il ragazzo di nome Haruo, dalla rabbia incontenibile e dai capelli già bianchi?

Lo studioso e malinconico Sei che dietro occhiali e cappello ha in realtà un solo pensiero, rivedere sua madre?

Junsuke che è maldestro e col naso che perennemente gli cola, ma diventa un soldato quando deve difendere il fratellino, e gli sparisce il moccio al naso appena appoggia la testa sulle gambe della madre in ospedale?

Si, tu sei Haruo, vero?

E poi c’è Kiiko, la ragazzina sveglia e intelligente che cerca di attirare l’attenzione dei ragazzi, sospesa tra il suo mondo di bambina e il ricordo ingombrante di sua madre che per vivere seduce sempre uomini diversi, uno peggiore dell’altro. Con lei ti capivi con uno sguardo.

E poi ci sono Megumu, Kenji, Asako, Makio! Ciascuno con la sua individualità.

Riesci col disegno a farmi sentire nel corpo di questi ragazzi più che se fosse un romanzo e più che se fosse un film. Più del romanzo ha le immagini; più del film ha il tempo in cui l’occhio può sostare su ogni fotogramma. La mano può toccare la carta; può tornare indietro con le pagine, può appoggiare il libro sul cuore per dare a un sentimento il tempo di arrivare, e poi riprendere a leggere.

Ci fai scoprire la dedizione ferma e paziente del sig. Adachi, che deve fare da sponda alla rabbia di Haruo, senza cedere ed essere permissivo ma senza mai ferirlo. Un dialogo tra i due, fatto di sguardi e di urla che dura anni, in cui il tacito accordo è che la rabbia è così tanta che per essere sbollita gli è concesso un tempo che non si misura sui fogli di un calendario.

Sunny è il nome della vecchia macchina in cortile dove i ragazzi passano molto tempo e dove gli adulti non vanno mai.

E’ il loro nido, dove si va da soli o insieme. Dove immaginarsi di prendere il volante, schiacciare i pedali e partire. Per dove? Per tornare a casa. Quel sogno impossibile di tutti i bambini della Hoshinoko.

La Sunny, dove sentire la protezione della carrozzeria e l’imbottitura morbida a consumata dei sedili, depositaria delle loro paure e speranze più grandi.

Nei dialoghi dove i ragazzi riescono a tirare fuori le parole che hanno dentro il cuore il testo finisce in un’inquadratura dove si vede solo un pezzo della macchina. Lo sguardo si posa su un particolare, un fanale, un paraurti, come aprisse un varco.

L’hai pensato anche tu?

Come se il sentimento fosse così forte e universale da essere extracorporeo. Dentro il metallo e le fodere di quella macchina che ha visto passare tutti i bambini della Hoshinoko. Si chiamava Sunny o l’hai chiamata tu così?

E poi c’è Taro, dall’età indefinita e il fisico da lottatore di Sumo, che ama stare sotto la pioggia e non parla mai ma canta… “Lo yacht bianco va, va, va, ♪ solca il mare, scavalca le onde♬”. Presenza misteriosa e quasi animale, accettata da tutti i bambini come un fatto naturale. Com’era nella realtà? Che fine ha fatto? Quante cose vorrei chiederti!

Descrivi anche gli incontri coi genitori, le rare volte che Haruo o qualche altro li vede.

Come descrivere i genitori? La madre prende Haruo con sé controvoglia due giorni, che Haruo deve contrattare per portare a tre. Lo lascia da solo tutto il giorno mentre è al lavoro e la sera non vede l’ora di mandarlo a letto per bersi la sua birra sognando chissà quale vita da attrice.

Non sopporta le effusioni d’affetto di Haruo, non sopporta la sua stessa esistenza. Però gli regala la Nivea perché le fa piacere sapere che ha qualcuno che la adora annusando il suo odore. Le piace tenerlo legato a sé come un cagnolino con quell’odore come guinzaglio.

O il padre, che va in giro per il mondo come un sedicenne, a parassitare chiunque possa dargli un letto o un pasto, ma sempre col jilé e i baffetti da Don Giovanni, seduttore anche del suo stesso figlio, che continua a vedere in lui un mito e che lui invece va a trovare solo per farsi offrire una cena all’istituto. Non si cura se questa visita riapre nel figlio una ferita che aveva appena iniziato a cicatrizzarsi.

Forse all’istituto Hoshinoko chi manca è una persona che fa le veci di una madre. Ma come si può sostituire una madre? C’è Mitsuko che prepara i pasti ed è attenta alle esigenze dei più piccoli. C’è il vecchio fondatore che fa da nonno e ha uno sguardo su tutti; uno sguardo attento e più distaccato di quello di Adachi e Mitsuko, che si rivela importante nelle scelte più delicate.

Un giorno viene a trovarlo quello che era stato il ragazzo più difficile, che spaccava tutto e lo aveva sfidato a dimostrargli una fedeltà grande come quella di un padre e di una madre. Aveva fatto di tutto per farsi cacciare, per dimostrare a se stesso e agli altri che lui era cattivo. Ma il fondatore non aveva ceduto. E il ragazzo alla fine ce l’aveva fatta: viene ora a trovarlo da adulto e portargli le notizie dei suoi figli, di sua moglie, del suo lavoro.

E poi ci mostri il rapporto tra i ragazzi e i compagni di scuola, i “figli di casa “, che hanno gli astucci che non sono riciclati dai precedenti possessori ma soprattutto hanno una madre e un padre tutti per sé. Con eccezioni come quella della vicina Kumi che a casa non la guarda nessuno perché tutti gli occhi sono sulla sorella.

C’è anche l’imbarazzo di rifuggire la pietà delle “madri di casa”.

– Se non sei mia madre mi fa solo male che mi usi gentilezza per un minuto. Mi ricordi quello che non ho e che faccio già così fatica ad accettare di non avere – paiono dire.

La bella Megumu ha la fortuna di avere dei lontani zii che vogliono adottarla ma lei sente che se accetta tradirebbe i suoi genitori.

Lo so, è infantile da parte mia farti sapere che ho capito a modo mio quello che volevi raccontare, ma è più forte di me cercare un contatto con te che hai saputo ri-cor-darle nel senso di riviverle col cuore e darle a noi. Questi sentimenti tu li racconti mostrando la quotidianità dei bambini, che si lamentano che ci sono da mangiare sempre crocchette di patate, che litigano per chi può andare sulla macchina di Makio, il carismatico nipote del fondatore che ogni tanto viene ad aiutare, o protestano perché non vogliono che Sei porti a tavola la rana che ha salvato e a cui si è affezionato.

Al torneo di baseball tra i vari istituti che si svolge tutti gli anni, Tsuda, un ragazzino di un altro istituto, quando Haruo si allarma perché ha perso la Nivea gli dice: “Io i miei genitori li ho cancellati dalla mia esistenza. Se mai dovessero tornare mi rifiuterò di vederli perché sarebbe come incontrare un estraneo”.

E’ stato allora che hai iniziato a liberarti dalla tua schiavitù della Nivea?

Haruo dopo una fuga dalla Hoshinoko verrà trasferito in un altro istituto più severo.

La familiarità della Hoshinoko, che tu descrivi con tanta gratitudine, nella nuova fase della tua adolescenza era diventata un limite anziché una spinta a evolvere?

Otto mesi più tardi Haruo torna in occasione della festa di addio a Megumu, che ha deciso di andare a raggiungere i suoi zii. Sulla Sunny Megumu gli confida che ha deciso di affezionarsi ai suoi zii perché ha capito che i suoi genitori sarebbero stati contenti.

Haruo ha tre puntini di sospensione come risposta. Sente tante emozioni a tornare nel suo vecchio istituto che gli ha fatto da base sicura per gli anni più difficili della sua infanzia.

Haruo prima della festa ritorna nella Sunny, fa salire il cane Kurimaru, prende in mano il volante e tu, Taiyo, sul finale, ci mostri la Sunny che vola in alto sui campi e le case tra gli uccelli.

Cosa è successo in quel momento? Hai accettato di essere senza genitori e ti sei slegato da un sogno impossibile? Puoi sentire il bene che ti ha dato la Hoshinoko e volare verso altre città, montagne, mari dove potrai vivere, vivere, vivere?

Chissà se il signor Adachi ha potuto leggere il tuo fumetto.

Di tutto questo io sogno di poter parlare con te. Come hai fatto a rielaborare così profondamente la tua storia?

Come hai iniziato a disegnare? Chi ti ha fatto credere per la prima volta che potevi diventare un fumettista?

Parli inglese? Hai dei viaggi in programma in Europa?

Mi faresti felice se potessi incontrarti un giorno e farti queste domande di persona.

O solo stringerti la mano e farmi fare una dedica sulla prima pagina del tuo Sunny.

Carissimi saluti

Tuo Xavier

Edizioni bd

Su Rai play c’è un bellissimo documentario con le storie di tre dei quindicimila ragazzi che oggi in Italia vivono in comunità. Lo trovate qui.

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